Con la terra e con il fuoco L’Arte della maiolica ad Ascoli Piceno dal XV secolo a oggi
Aprile 2019 - Il Comune di Ascoli Piceno, in collaborazione con Regione Marche, ANCI Marche, Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e l’Accademia dei Maiolicari di Ascoli Piceno, presenta la mostra Con il fuoco e con la Terra. L’Arte della maiolica ad Ascoli Piceno dal XV secolo a oggi, a cura di Giuseppe Matricardi e Stefano Papetti. Patrocinata dal MiBAC, dall’Associazione Italiana Città della Ceramica e dall’Università degli Studi di Camerino, l’esposizione, aperta al pubblico dal 13 aprile al 3 novembre 2019 presso il Museo dell’Arte Ceramica di Ascoli Piceno, celebra la produzione ceramica ascolana da fine Trecento ai giorni nostri con un’ampia sezione dedicata ai ceramisti attualmente attivi nel territorio.
Un’antica tradizione legata all’arte della maiolica contraddistingue la città di Ascolie il suo territorio dagli altri centri marchigiani attivi nella produzione ceramica. Seppur contrassegnata da un alternarsi di vicende, che in alcuni casi ne hanno arrestato momentaneamente lo sviluppo, già dalla fine del XIV secolo la città vanta numerose fabbriche di maiolicai specializzati nella decorazione della ceramica su smalto e questa tradizione, nonostante il terremoto del 2016, perdura fino a oggi. La tipica ‘rosetta’, i paesaggi rurali, le torri merlate e i richiami ai dipinti dei pittori attivi in città fin dal quattrocento, come Carlo Crivelli, sono i soggetti scelti dagli artigiani locali e che nel corso del tempo hanno contraddistinto le maioliche ascolane.
La mostra, allestita negli ambienti del Convento annesso alla duecentesca Chiesa di San Tommaso, oggi sede del Museo dell’Arte Ceramica, è articolata in cinque sezioni e segue un ordinamento cronologico.
La prima sezione è dedicata ai bacini in maiolica arcaica realizzati ad Ascoli sul finire del Trecento: si tratta di manufatti decorati con stilizzate figure fitomorfe, dipinte in ramina, manganese e zaffera, secondo moduli comuni ad altri centri manifatturieri dell’Italia Centrale che venivano utilizzati per adornare le facciate delle chiese ascolane, come ancora dimostrano le ceramiche presenti nelle chiese di Santa Maria delle Donne, San Venanzio e San Tommaso.
La seconda e la terza sezione illustrano i rapporti intrattenuti dalla città di Ascoli Piceno con il grande centro manifatturiero di Castelli, attivo nel confinante Regno di Napoli, dove fra Cinque e Seicento si rifornirono gli Anziani del Comune, i principali monasteri cittadini e le più importanti famiglie del patriziato: lo dimostrano tazze e mattonelle dipinte con soggetti legati alla devozione ascolana, come la bella immagine di Sant’Emidio che battezza Polisia realizzata dalla bottega dei Grue. Andati perduti i piatti azzurri dipinti con lo stemma cittadino, ordinati in occasione dei banchetti allestiti presso il Palazzo Comunale, saranno le maioliche da tavola del servizio Farnese a rievocare il fasto delle mense rinascimentali ascolane insieme alle saliere, ai versatoi, ai grandi piatti da parata.
La quarta sezione presenta le ceramiche prodotte ad Ascoli Piceno dalla manifattura allestita nel 1787 dal colto abate di sant’Angelo Magno, Valeriano Malaspina, con l’intento di porre freno all’importazione di prodotti castellani e di rivitalizzare la produzione locale: dopo essere stata diretta dal pesarese Biagio Cacciani e dal napoletano Nicola Giustiniani, la manifattura venne rilevata dal ceramista Giorgio Paci, la cui famiglia per tre generazioni monopolizzò il mercato ascolano proponendo nuovi spunti decorativi, come la caratteristica “rosa ascolana”, i motivi in rilievo di ispirazione classica e soprattutto la rara produzione di oggetti marmorizzati con una tecnica assai particolare.
La quinta sezione, incentrata sul Novecento fino ai giorni nostri, ricostruisce le vicende delle più importanti botteghe attive ad Ascoli in questo arco temporale: cinquanta anni dopo la chiusura della manifattura Paci, sarà l’ing. Matricardi a fondare una nuova fabbrica di maioliche, dapprima servendosi di artisti castellani e dopo di un grande ceramista pesarese Gian Carlo Polidori che portava ad Ascoli Piceno una straordinaria esperienza creativa che si esprime nella originali decorazioni dei grandi piatti con figure di portatrici, vedute adriatiche, scene in maschera di chiaro spirito dèco, valorizzate dall’uso di smalti brillanti e dalla ramina in rilievo. La crisi economica degli anni Trenta colpì duramente l’artigianato artistico ascolano, ma i lavoranti della ditta Matricardi si organizzarono in modo autonomo dando vita alla FAMA che proseguì nel solco della tradizione aperta dal Polidori: oggi sono una ventina i laboratori ceramici attivi in città dove si continua una tradizione decorativa tipica del territorio.
La mostra si chiude nel chiostro medioevale del Museo con una selezione di opere realizzate dai ceramisti attivi oggi nel territorio di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata che, anche se colpiti duramente dal sisma del 2016, continuano ancora a mantenere viva quest’antica tradizione locale. L’esposizione è accompagnata da un ricco palinsesto che prevede laboratori didattici per le scuole, visite nelle botteghe del territorio e incontri aperti al pubblico e agli operatori del settore su temi legati alla storia della ceramica marchigiana, al restauro, alla diagnostica museale e all’archeologia.
a cura di Giuseppe Matricardi e Stefano Papetti